sabato 31 ottobre 2015

Halloween

“Quindi capisci? Quello che voi chiamate 31 ottobre non è un giorno come gli altri…” mi spiegò pazientemente il vecchio druido.
“Sì certo lo so…” risposi, cercando di apparire competente.
“E’ un giorno magico. Durante il Samhain il grande scudo di Skathach viene abbassato, eliminando le barriere fra i mondi e permettendo ai morti di entrare in contatto con i vivi. Ci vuole molta cautela...” continuò lui.
“Ma certo, lo so. Solo che da noi qui si chiama Halloween”.
“Ah bene! Quindi sapete come comportarvi, giusto?”
Annuii vigorosamente. “Naturalmente…" 
"Noi andiamo in giro vestiti da mostri, e facciamo dolcetto o scherzetto!” spiegò Antonio, inserendosi nella conversazione in modo alquanto inopportuno. 
Cathbad ci guardò stralunato. “Che stupidaggine! Perché uno dovrebbe andare in giro vestito da mostro?”
“Perché è divertente…” continuò il mio amico, costringendomi a rifilargli una tempestiva gomitata appena sotto lo sterno.
“Sì ma rischiate di essere fatti a pezzi!”
“C... chi dovrebbe farci a pezzi?” Domandai stranito.
“Un guerriero, se vi scambiasse per dei mostri autentici, per esempio…” spiegò il druido.
“Sì beh… ma i mostri non esistono davvero, no?”
Il Troll si affacciò sulla soglia con aria imbronciata reggendo perplesso un frammento della maniglia.
“Credo di averla rotta questa…” disse con voce cavernosa.
Mi affrettai a recuperare il frammento di maniglia rassicurandolo che non era importante e che avrei provveduto a rimettere tutto a posto. Poi tornai a rivolgermi a Cathbad che mi guardava divertito.
“Di cosa stavamo parlando?”
“Dei mostri che non esistono”.

venerdì 9 ottobre 2015

Videogiochi e Guerrieri

Merlino si sporse in avanti guardando con curiosità il monitor del mio computer.
“E così questa è la scatola magica?”
Annuii a disagio e sentii il dovere di precisare: “Sarebbe un computer…”
Cathbad il druido si avvicinò a sua volta.
“E noi eravamo tutti lì dentro?”
“Devi essere un mago ben potente per essere riuscito a rimpicciolirci in siffatta maniera…” aggiunse Merlino.
“Ecco… non eravate voi ad essere nel computer, ma dei vostri, come dire? Simulacri…” spiegai.
“Magia simpatica!” esclamò Cathbad con approvazione “hai sfruttato il principio della similarità, molto astuto”.
Sorrisi non sapendo bene cosa rispondere.
Antonio mi si avvicinò con aria cupa e mi prese per un braccio tirandomi in disparte.
“Non sarebbe il caso di spiegargli che non sei un mago ma un programmatore di videogiochi?” mi bisbigliò nell’orecchio.
“Ma sei pazzo?” risposi con tono altrettanto basso “abbiamo già stabilito che se questi sapessero la verità mi farebbero a pezzi nel giro di cinque minuti!”
Come a confermare i miei timori CuChulainn si avvicinò con aria truce impugnando la lancia.
“E che ci facevamo nella tua scatola magica?”
“Un…” degluttii a fatica “un videogioco…”
Anche Sigfrido mi guardò perplesso.
“E cosa sarebbe un videogioco?”
Presi dalla scrivania l’astuccio di Call of Duty e glielo mostrai.
“Ecco, questo per esempio… è un videogico in cui impersoni un… armigero moderno e uccidi i nemici…”
I due guerrieri sorrisero in modo poco rassicurante annuendo. Evidentemente “uccidere nemici” suscitava la loro approvazione.
“Per finta s’intende” puntualizzò Antonio che non era a suo agio con le uccisioni.
CuChulainn si accigliò.
“Non capisco… perché qualcuno dovrebbe divertirsi a uccidere qualcun altro per finta?”
“Oh beh” farfugliai “ma perché uccidere è… sbagliato?”
I due imponenti guerrieri si produssero in una risata cavernosa che sembrava quasi un urlo di guerra.
“Sei divertente mago!” ragliò Sigfrido dandomi una pacca che per poco non mi disarticolò la spalla “uccidere per finta! Ah ah ah!”
“Come se una semplice finzione potesse sostituire il piacere che dà decapitare un avversario per davvero!” Sottolineò Artù raggiungendoci.
“O sbudellarlo…” aggiunse Sigfrido.
“Io una volta ne ho squartato uno colpendolo dal basso verso l’alto, proprio in mezzo alle gambe!” Proclamò CuChulainn con l’entusiasmo di un bambino “avreste dovuto vederlo mentre correva su e giù cercando di trattenere le viscere che cadevano a terra dallo squarcio…”
Scoppiarono tutti a ridere manifestando un enorme apprezzamento per il ricordo truculento del celta e Antonio mi tirò nuovamente in disparte.

“Adesso hai capito perché dobbiamo assolutamente rispedirli a  casa?!”


NOTA: questo pezzo non è presente nel libro, perché Sergio, il protagonista della storia, si è ricordato solo qualche tempo dopo di questa conversazione e me l'ha prontamente riferita. Abbiamo pensato, dunque, di inserirla in questo blog per dovere di cronaca.

domenica 8 marzo 2015

Edward... (estratto da VideoGame)

Lo sconosciuto, dal portamento fiero, le spalle larghe e la capigliatura insopportabilmente impeccabile come se fosse uscito in quel preciso istante dall’acconciatore, si girò verso di me con un movimento fluido ed elegante, sorridendo beffardo.
«Porc… Edward Collant!»
«Vedo che mi conosci…» disse il vampiro compiaciuto.
«Questo è dannatamente pericoloso» mi bisbigliò Antonio.

«Lo so» risposi.
«È inutile che bisbigliate… posso sentire il battito di una farfalla a un chilometro di distanza» annunciò lui con aria annoiata «e sono più forte, più bello, più rapido, più letale di qualsiasi patetico essere umano presente in questa stanza…»
«Odio i vampiri» mormorai.
«E allora perché cavolo li hai messi nel tuo videogame?» chiese Antonio.
«Te l’ho detto, per essere alla moda… i vampiri si portano, fanno vendere libri, film e videogiochi».
«E perché non dovrebbe essere così?» disse Edward «siamo così esageratamente sexy…»
Nel parlare il vampiro mosse un passo in avanti e, contemporaneamente, si aggiustò un ciuffo di capelli solo apparentemente ribelle… nonostante si muovesse normalmente sembrava essere costantemente in slow motion. La luce sembrò cambiare intensità e disporsi su di lui in modo da esaltarne la bellezza. Il tessuto stesso dei vestiti sembrava diverso da quello dei comuni mortali… era come se il cotone della sua camicia, fosse di altra natura, in grado di vestire meglio, di far risaltare ogni muscolo di quel corpo che si intuiva essere più che perfetto.
Edward mosse un altro passo, con l’eleganza di una pantera, poi inarcò di 1,2 millimetri il sopracciglio destro, increspò di 3 millimetri l’angolo destro della bocca… e la psicologa cominciò a piangere di gioia. La stessa Orienne, con mio sommo disappunto, non sembrava del tutto indifferente al suo fascino.
«Odio i vampiri» ripetei.
«Ho pensato che resterò in questo mondo, dove siete tutti degli inetti» annunciò «ucciderò chi mi ostacolerà, mi nutrirò degli altri e alle più fortunate… sarà permesso di rendermi l’oggetto della loro adorazione».
«Mi vien da vomitare».
«Temo che per far questo tu dovrai essere il primo a morire…» disse con voce quasi sinceramente addolorata «d’altro canto riesci a immaginare un destino più glorioso di morire per mano della creatura perfetta?»
«Riesco a immaginare molte valide alternative, tutte preferibili…» risposi.
«Io! Io voglio morire per mano tua! Straziami!» implorò la psicologa.
«Anche io!» urlò… mia madre?!
«Mamma! Un po’ di contegno».
«Zitto tu! E fatti uccidere da bravo ragazzo senza indisporre Edward!»
«Ma io sono tuo figlio! Come puoi preferire lui a me?» le chiesi.
«Oh beh perché lui è perfettissimissimo e tu sei una puzza!» rispose la moglie del ragionier Carozzi, anche lei in posa adorante.
«Ma chi è questo?» domandò Arianna confusa.
«Chi sono?» disse lui guardandola con intensità «tu lo sai, non è vero? Dentro di te, il tuo essere freme per dare la risposta!»
«Non lo so, fremo?» chiese la scout.
«Ricordi quel libro che ti avevo dato, vero?» le dissi.
Arianna annuì.
«Quelle pagine sottolineate le hai lette?»
«Molte volte».
«Ma perché parlare di altro quando potete parlare di me?» ci interruppe il vampiro «tu sarai la prescelta» annunciò poi scrutando Arianna con intensità tale da far apparire lo sguardo di Brad Pitt, al confronto, simile a quello di un astigmatico strabico.
«Devi solo scegliere di accettare l’oscura verità. Chi sono? Dillo!» tuonò imperioso Edward e la madre dell’architetto svenne con un gemito. «Dillo!!!»
Arianna spalancò gli occhi risucchiata dal suo sguardo .
«Son maestro di terrore / il giorno dormo come un ghiro / ma la notte predatore / silenzioso vado in giro / tu lo sai sono un…»
«Cretino?» rispose lei.
«Ma non fa rima» protestò Edward.
«No, ma mi sembra comunque la risposta più corretta» ribattè Arianna.
«Non capisco… normalmente dovresti già essere adorante ai miei piedi, perché mi resisti, fanciulla?»

«Perché sono una scout» rispose Arianna imbracciando il mio fucile ad acqua.

[continua... nell'ebook]

venerdì 12 dicembre 2014

Okuninushi

[...] Indossava un kimono fumante e impugnava una lunga spada a lama dritta dall’elsa finemente lavorata con il pomo a forma di testa di drago. Sembrava alquanto spaesato e cercava di spegnere i lembi ancora in fiamme del kimono con frenetici colpi della mano libera.
«Le sta andando a fuoco il vestito…» gli fece notare Antonio con solerte partecipazione.
«Lo so, lo so!» esclamò l’orientale arrestandosi davanti a noi che, immagino, dovevamo costituire un ben strano assortimento umano per lui. «Porca miseria… ma dove mi trovo?»
«E questo da dove spunta?» domandò mia madre recuperando un coltello dal ripiano della cucina e stringendoselo al petto.
«Basta chiedere» rispose Antonio ostentando la calma che derivava da un’ottusità che scoprivo ogni minuto più consistente. Veniva da chiedersi come avesse fatto a leggere quel Farkenberger e cosa ci avesse realmente capito.
«Scusi, lei chi è?» domandò poi con lo stesso tono con cui un turista londinese potrebbe chiedere informazioni su Pompei.
«Eh?» rispose l’orientale.
«È il principe Okuninushi!» esclamai io con una certa insofferenza. Ormai avevo capito il meccanismo e ero perfettamente in grado di riconoscere i personaggi che avevo programmato.
«Proprio così» disse lui guardandomi meravigliato.
«Sta fuggendo dai fratelli che vogliono ucciderlo» aggiunsi.
«Proprio così» ripeté lui, guardandomi ancor più stranito.
«Perché i fratelli lo vogliono uccidere?» domandò mamma tra l’interessato e il preoccupato.
«Beh è una storia un po’ complicata…» cominciò a rispondere.
«Comunque sostanzialmente erano tutti pretendenti alla mano della bella principessa Yakami di Inaba, solo che mentre i fratelli si comportarono male con una lepre incontrata lungo la strada, lui fu generoso e la lepre raccontò tutto alla principessa, che scelse lui suscitando l’ira dei fratelli» spiegai in modo conciso per ridurre al minimo quella conversazione, «e il motivo per cui è mezzo abbrustolito è che hanno tentato di ucciderlo facendogli rotolare addosso un masso infuocato a forma di cinghiale!»
«Esatto anche questo!» Esclamò ormai incredulo il giapponese spegnendo l’ultimo lembo del kimono, «ma si può sapere com’è che sai tutte queste cose?»
Prima che potessi rispondere alla sua peraltro comprensibile domanda, dal balcone della cucina arrivarono altri quattro orientali dall’aria truce e le spade sguainate.
«Eccolo lì!» ulularono all’unisono mettendosi in guardia e preparandosi all’attacco.
«Porc… mi hanno trovato!» sbuffò Okuninushi estraendo a sua volta la spada.
«Ma che succede?!» strillò mia madre mentre i quattro aggressori si scagliavano contro il principe.
«Poffare! Quattro contro uno, non è cavalleresco…» commentò Astolfo buttandosi anche lui nella mischia e trafiggendone subito uno alle spalle, alla faccia di qualsiasi considerazione sulla cavalleria.
Ora, permettetemi una breve divagazione.
Io sono un appassionato di mitologia, le leggende cavalleresche mi fanno impazzire e adoro i duelli. Adoro immaginarli o vederli al cinema… per esempio. Vederli nella cucina della propria abitazione però, credetemi, non è la stessa cosa, a cominciare dal rumore raccapricciante che produsse lo spadone di Astolfo infilandosi tra le scapole del suo avversario, continuando col rumore ancor più agghiacciante della lama che veniva estratta sfregando contro qualcosa (presumo le costole), per finire in bellezza con lo spruzzo di sangue degno del miglior Tarantino che irrorò generosamente pavimento e pareti.
«Ma questi cosa vogliono da noi?!!» piagnucolò mia madre di fronte a quello spettacolo.
«Vedi mamma, è una lunga storia non priva di risvolti surreali…» cercai di spiegare mentre il secondo aggressore veniva ucciso con un fulmineo affondo da Okuninushi e piombava al suolo sopra all’altro cadavere.
«Come certo saprai stavo lavorando a un nuovo videogioco…»
«Ahhhgggggh!» urlò il terzo sicario, trafitto contemporaneamente sia da Astolfo che dal principe e prima ancora che il suo corpo toccasse terra anche il quarto andò a fargli compagnia, gorgogliando un’imprecazione soffocata da un copioso fiotto di sangue.
A questo punto, quando anche l’ultimo cadavere si fu abbattuto sul pavimento della cucina, mia madre ritenne di averne avuto abbastanza e svenne senza emettere alcun suono.
«Grazie per l’aiuto» disse il principe al paladino mentre entrambi pulivano le rispettive lame sul kimono di una delle vittime.
«Di nulla messere, anzi, per me è stato un onore combattere al fianco di un ‘sì nobile e valoroso cavaliere».
«Posso sapere il vostro nome?» domandò Okuninushi.
«Lo nome mio è Astolfo, e sono un paladino di Re Carlo» rispose questi gonfiando il petto orgogliosamente.
«Onorato davvero, e loro sono vostri amici?» chiese ancora l’orientale accennando a noi col capo.
«Non propriamente…» precisò il paladino.
«Io sono Orienne la fata!» cinguettò la bella fanciulla che evidentemente doveva essere più avvezza di noi a veder sbudellare la gente, perché non appariva per niente turbata. «Costui è un potente cavaliere-mago…» aggiunse, bontà sua, indicando me «mentre quest’altro messere è…» e qui si blocco perché non sapeva bene che ruolo avesse Antonio e ritenne giusto dargli modo di qualificarsi da solo. Antonio però si limitò a emettere uno strano fruscio con la bocca, mentre cercava di inalare un po’ d’aria, con lo sguardo inorridito fisso sui cadaveri.
Okuninushi restò un attimo in attesa, poi decise di tagliar corto sulle presentazioni, venendo al punto cruciale: «Beh, che dire signori, è stato un piacere fare la vostra conoscenza, ma come dice il saggio Tzumanaki anche la tela più bella va fissata al muro… né troppo in basso né troppo in alto, possibilmente».
Ci guardammo un po’ tutti perplessi.
«E che vuol dire?»

«Che nonostante la piacevole compagnia, devo proprio andare, è imperativo ch’io torni al più presto a Inaba».

lunedì 24 novembre 2014

Black Friday

« Non capisco... » disse Cùchulainn fissandomi con il suo sguardo leggermente stolido. 
« Cos'è che non capisci? » risposi pazientemente « è una cosa normalissima, si chiama Black Friday e serve per incentivare le vendite... » 
« Se una cosa ha un prezzo... beh ha un prezzo! » rispose lui con aria ottusa, ma convinta. 
« Ma non è detto, ci sono i saldi, le offerte promozionali, i buoni sconto... »  
Lui scosse il capo caparbiamente e si fece leggermente minaccioso. « Io non ne so niente di queste diavolerie, so solo che se vado dal fabbro da cui ho comprato una spada la settimana prima, e vedo che adesso la vende a metà prezzo, lo uccido con le mie mani! »
Deglutii a fatica. « Ecco, diciamo che il libero mercato non prevede l'omicidio, almeno non come prima ipotesi. Ci sarebbe l'associazione consumatori eventualmente... » 
« E se vado dal fabbro, che la settimana prima mi aveva fatto un prezzo, e adesso invece vuole il doppio dei soldi... io gli sbatto l'incudine in testa finché non muore! » 
« Credo basti una volta... » 
« Quello che è! » 
« Ok Cu'... capisco il tuo punto di vista. Ma qui da noi funziona così... » mormorai cauto. 
« Non mi piace qui da voi, voglio tornare a Emain Macha! » protestò assumendo un'aria imbronciata da bambino. Un bambino alto quasi due metri in grado di seminare morte e distruzione come se niente fosse. 
« Ci sto lavorando Cu'! » esclamai frustrato « come ho già detto l'incantesimo di  ritorno presenta qualche... uhm... complessità. Ok? Adesso concentriamoci sul Black Friday... ripeti quello che ti ho spiegato per favore. » 
« Da domani e per tutta la settimana, il tuo libro costerà solo 1,99 » ripeté il colosso celtico, « per poi tornare al suo prezzo... » mi guardò incerto « posso dire una cosa? » 
« Vai. » 
« Se fossi uno di quelli che vogliono comprare il tuo libro, per questo giochetto del prezzo prenderei l'incudine e te la spaccher... » 
« Non abbiamo incudini qui! » tagliai corto.

domenica 26 ottobre 2014

Breve intervista

Qui è possibile ascoltare l'intervista rilasciata qualche tempo fa presso RunRadio.
Ne approfitto per ringraziare ancora tutto lo staff.


dario

ASTOLFO - (estratto da VideoGame)

[...] 
«Quindi immagino lei sia il prode… Astolfo?» Domandò Antonio dimostrando di aver letto l’Ariosto.
«In persona…» rispose il cavaliere manifestando un certo compiacimento per essere stato riconosciuto. «Vedo che le mie gesta sono note anche tra i villici…»
«Villico lo dici a tua sorella…» mugugnai tra i denti. Poi, più interessato a considerazioni di ordine pratico, ingoiai l’orgoglio e gli sorrisi: «Saprebbe per caso dirci come è finito qui?»
Il prode si grattò la testa con aria pensierosa facendo vagare intorno a sé uno sguardo a dire il vero non troppo intelligente. «Di preciso non saprei… ero sulle tracce di Orlando, per rendergli finalmente il senno, quando una strana coltre di nebbia ci avvolse facendoci perdere l’orientamento, giungemmo alfine qui, in codesto desolato maniero, dove la bestia mi colpì facendomi perdere i sensi… altro non so».
Antonio e io assumemmo un’espressione delusa che evidentemente non gli sfuggì, perché dopo un istante aggiunse: «cosa vi angustia dunque, buonomini?»
«Ecco vede… il punto è che, lei avrà certo capito di non trovarsi esattamente nella collocazione spaziotemporale che dovrebbe competerle, vero?» esordì Antonio.
«Eh?» fece Astolfo aggrottando ulteriormente le cespugliose sopracciglia.
«Lei non sta dove dovrebbe stare» spiegai con termini a lui più facilmente comprensibili.
«Ahhhh!» fu la sua risposta, «m’era parso che fosse successo qualcosa di strano! Ma sono sicuro che trattasi di vile marchingegno del truce Atlante».
«Non so chi sia questo Atlante di cui parlate, ma l’evocazione che vi ha portato qui è stata opera di questo messere che è anche un potente negromante!» trillò Orienne guardandomi con ammirazione.
«Potente negromante…» farfugliai imbarazzato, «diciamo che me la cavo».
«Quello che voleva dire il potente negromante» rettificò prontamente Antonio gratificandomi di un’occhiataccia, «è che lui voleva evocare solo le vostre immagini e, per un malaugurato errore, ha invece portato a sé anche i corpi».
«Trattossi invero di un grave errore!» esclamò Astolfo guardandomi con aria truce, «anche se, bisogna convenire che dietro le spoglie di un misero bifolco, costui cela una rara potenza».
«Prima villico e poi bifolco… io a questo gli faccio ingoiare l’ampolla…» sussurrai ad Antonio mentre la consueta cortina rossa cominciava a velarmi lo sguardo.
«Stai calmo» rispose il mio amico stringendomi una spalla per riportarmi in me. Il solo tocco, di norma, sarebbe servito a poco, ma la stretta stritolante produsse un insolito effetto calmante.
«Adesso dobbiamo trovare un modo per rimandarvi tutti indietro» continuò Antonio sorridendo ad Astolfo, «solo che, ehm… per ora non sappiamo bene come, quindi se lei che è avvezzo alla magia avesse qualche consiglio…»
«Un sistema ci sarebbe…» mormorò Astolfo grattandosi il mento pensieroso.
«Ohhhh!» esclamammo all’unisono Antonio e io, visibilmente sollevati. «Molto bene, così risolviamo questa cosa in quattro e quattr’otto, prima che qualcuno si faccia male…» dissi sfregandomi le mani.
«Eh beh, un po’ male farà…» bofonchiò il paladino raccogliendo la propria spada da terra.
«Ehm che cosa?» domandai cominciando a preoccuparmi.
«Per interrompere il sortilegio è necessario decapitare il negromante, mi pare ovvio!» spiegò Astolfo.
«Nossignore, nossignore!» urlai scuotendo l’indice per rafforzare il mio dissenso. «Questo tipo di magia non viene annullato con la morte del mago, vero Antonio?»
Antonio confermò rincarando: «Anzi… c’è il rischio che una volta morto il suo incantesimo diventi permanente, meglio lasciarlo vivo».
«Mfh!» mugugnò il paladino deluso, rinfoderando goffamente lo spadone. «Comunque sarà bene che codesto incantesimo venga infranto, in un modo o nell’altro, e senza indugio alcuno, perché Orlando è atteso sul luogo della pugna! Il destino dell’occidente dipende da lui, o l’incubo moresco si abbatterà sul Sacro Romano Impero! E ora fatemi strada, è d’uopo ch’io affronti la bestia che mi ha colpito così duramente».
«Se si riferisce all’essere fiammeggiante che ha distrutto la mia scrivania, è fuggito dalla finestra, temo che ormai sia lontano» dissi.
«Non conosco esseri fiammeggianti, anche se ho sentito favoleggiare di simili creature che si dice vivano nel lontano Catai…» rispose Astolfo, «l’animale a cui mi riferisco è sempre lui, il prode Orlando, che da quando ha perso il senno è diventato pazzo furioso e tale resterà, per l’appunto, finché non gli avrò restituito questo!» e agitò l’ampolla.
«Aha!» facemmo Antonio e io all’unisono.
«Poffare! E c’ero quasi riuscito…» si lamentò il paladino, «quando l’ho finalmente trovato, in questa decadente magione, ho tentato di fargli inalare il senno, ma lui, ebbro di follia, non ha riconosciuto il sembiante amico e mi ha duramente colpito ammaccandomi l’usbergo lucente».
Antonio, Orienne e io guardammo con aria critica la sua armatura rugginosa.
«Beh si fa per dire…» bofonchiò lui seguendo il nostro sguardo, «un tempo lo fu, ma poi… le campagne sono umide, specialmente di notte, si dorme all’addiaccio, senza un tetto… per non parlare del clima che c’è sulla luna…»
«Non si deve certo giustificare» lo rabbonì Antonio. «Certo che questo Orlando dev’essere davvero temibile con lo spadone tra le mani».
«Invero lo è» assentì Astolfo, «altrimenti non sarebbe il più prode dei paladini, ma per fortuna quando l’ho incontrato era disarmato, ecco perché sono ancora vivo».
«Come disarmato?!» esclamai «e allora tutte quelle ammaccature come gliele ha fatte?»
«Con i pugni, naturalmente» rispose il paladino dando la cosa per scontata.
Dovetti sedermi perché le gambe non mi reggevano più.
«Oh cavolo! Adesso tra tutte le cose che vagano per il mio parco c’è anche un Orlando Furioso che sfonda le armature a cazzottoni!»
«Ed è molto aggressivo?» domandò cautamente Antonio.
«Beh, di norma egli aggredisce chiunque abbia l’ardire e la sfortuna di incrociare il suo sguardo… ma la vera iattura è che, folle d’amor perduto, nella disperata ricerca della bella Angelica, tende ad amare brutalmente ogni donna che incontra» spiegò Astolfo.
«Ma… amare in che senso?» domandai atterrito.
«Nel senso che tra qualche mese le ridenti campagne francesi e spagnole pulluleranno di piccoli Orlandini e…».
Ma prima che il paladino potesse finire la frase, dalla cucina giunse, inatteso e prorompente, l’urlo terrorizzato di mia madre.
«Non voglio che mia madre partorisca un Orlandino furioso!» urlai.
«Poffare, sarà mia cura impedirlo!» barrì il paladino estraendo il proprio spadone col consueto sferragliare.
«Antonio passami quel martello!» gridai indicando l’utensile con cui, solo qualche ora prima, mia madre aveva minacciato di spaccare la testa del vicino di casa. Non era granché come arma, soprattutto se si considera contro chi avrei dovuto usarlo, ma non avevo altro e mia madre era in pericolo, non potevo certo tirami indietro. Così ci scaraventammo tutti in cucina.  [...]